giovedì, Settembre 19, 2024

Il Carnevale di Ivrea attraverso gli scatti firmati Joey Shaw

Quando mi é stato chiesto di fare un pezzo sul Carnevale di Ivrea, sinceramente avevo molti dubbi.
Non mi sentivo la persona più adatta, la persona che avrebbe potuto evidenziare aspetti positivi tanto da invogliare qualcuno ad andarci o negativi tanto da schierarmi dalla parte di coloro che parlano di maltrattamento di animali e di spreco alimentare. Poi mia figlia mi ha spinto ad accettare contrattando un posto accanto a me in cambio. Così ho cominciato a leggere le cartelle stampa, a guardare video, ascoltare interviste.

Non volevo la solita storia. Decine di fotografi e giornalisti si alternano nei giorni del carnevale a Ivrea e tutti raccontano le loro storie che troppo spesso, non me ne voglia nessuno, sono un racconto minuzioso dei medesimi punti. Giusto farlo per cronaca: il Generale, la Mugnaia, il corteo storico… più che giusto, ma per me non era sufficiente.  
Io vivo e parlo attraverso le immagini da oltre 30 anni ormai. Avevo bisogno di raccontare Ivrea in 1 giorno perché avevo solo 1 giorno disponibile, così ho puntato tutto sulla gente comune, non i protagonisti da prima pagina, ma sulla seconda fila, quelli della mischia, quelli della lotta. 

Mi sono ritrovato ad avere nei miei scatti persone qualunque che trasmettono emozioni uniche. 
Per me loro sono i veri protagonisti del Carnevale di Ivrea, insieme ai cavalli ovviamente. Una delle immagini che in redazione avrebbero messo in copertina si fosse trattato di una rivista cartacea, ritrae una donna che nella confusione dei preparativi assiste il suo cavallo, lo tranquillizza, lo accarezza continuamente e lo guarda con ammirazione assaporando insieme al proprio cavallo sensazioni uniche, d’altri tempi, fatte di tradizione e di storia. Tutto in uno sguardo, tutto in un battito di ciglia, tutto in uno scatto.

Ho visto poi un ragazzo durante la battaglia in una delle piazze colpito in testa da una arancia; il giovane scuote la testa frastornato e l’uomo mascherato sul carro che lo ha colpito, se ne accorge, lo chiama e gli stringe la mano come per scusarsi ed allo stesso tempo congratularsi per il coraggio, mentre ai lati la battaglia continua senza tregua, quasi come se quel frame avesse immortalato uno spazio temporale che viaggia ad una velocità diversa.

Questa é vita, questi gesti sono la rappresentazione di quanto abbiamo bisogno oggi più che mai delle tradizioni.
All’inizio, sino a che sono sceso da quel treno ad Ivrea pensavo a come affrontare gli argomenti più delicati. Una volta sul posto, a contatto con queste persone, l’anima di questa tradizione mi ha preso per mano e mi ha trascinato con sé.
Ho visto così tanti controlli veterinari in poche ore come mai ne ho visti in competizioni internazionali di salto ostacoli o di monta western. Ho visto cavalli trattati così bene e talmente in ottime condizioni che non é certo questo il caso di parlare di maltrattamenti.
Andare oltre l’aspetto celebrativo, spingendosi sino ad annusare il sapore del passato significa comprendere, osservando questi cavalli, i loro proprietari e le persone che se ne prendono cura, significa sentire l’anima della tradizione. 
Ho visto le arance che non sono quelle che verrebbero mandate al macero, vengono regolarmente comprate e pagate per mantenere viva questa tradizione e non mi sento nella posizione di poter giudicare questo.  
Sono stato testimone di un’avventura di un solo giorno in cui ho riscoperto l’onore e la dignità dell’essere umano e per farlo in questo preciso momento storico, non poteva bastare solo qualche coriandolo o qualche pifferaio magico. 
Lo so, i primi minuti anche io ho pensato “questi sono pazzi!”. Poi li ho visti abbracciarsi, li ho visti bere insieme e condividere il momento vero con i bambini e le famiglie perché la felicità a Ivrea é contagiosa. 
Ecco appunto, non pensate alle arance, il problema di Ivrea é che vi contagia. Trasmette una energia pulita e sana che ti frastorna da quanto é irriverente. 
Dunque si, sono matti da quelle parti, ma credetemi se vi dico che sono della categoria di matti che avremmo bisogno di incontrare più spesso nella nostra vita.

Così spero di tornarci un giorno ad Ivrea, e vi invito a farlo se ne avrete occasione. Vi invito a credere nel passato, nella storia che il carnevale di Ivrea vuole raccontarci, riportandoci in un’epoca fatta di tradizioni e di rispetto. 

Quel rispetto che ormai i nostri telefoni ci fanno dimenticare ogni giorno. Talvolta ci scontriamo con qualcuno per strada o nella metro e non abbiamo nemmeno più la compiacenza di voltarci a chiedere scusa. Abbiamo perso il vizio del rispetto. Talvolta ci dimentichiamo di guardare il mondo con i nostri occhi perché i nostri telefoni ci stanno abituando a farlo comodamente da un display. Dispensiamo giudizi, pareri e likes e ci dimentichiamo di viverla questa vita, pretendendo di sapere tutto di tutti.  

Ad Ivrea le persone si lanciano le arance, si voltano e chiedono scusa, si stringono le mani e si abbracciano perché questo é il rispetto e l’onore che le tradizioni insegnano. In un tempo non lontano il rispetto si dimostrava attraverso una stretta di mano, oggi il rispetto é inteso come un obbligo legale che va convalidato da un notaio.
Potrà piacervi o non piacervi, ma dategli un’opportunità. Personalmente sono felice di averlo fatto, di aver incontrato le persone che ho incontrato e di aver vissuto questa esperienza. 
Ho un rimpianto… un solo giorno non basta. C’é troppo da vedere, c’é troppo da assaporare, c’é troppo da condividere. 

Infine, permettetemi di dire una cosa: il rispetto della tradizione genera la cultura del sapere e questo basta per comprendere che il Carnevale di Ivrea é un posto dove andare almeno una volta nella vita. 

Buona vita a tutti.

Testo e Foto: Joey Shaw